BIAE: un project finance su misura per la crescita green delle PMI

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BIAE: un project finance su misura per la crescita green delle PMI

L’Europa ha privilegiato la sostenibilità finanziaria dimenticando la base industriale. Burocrazia e frizioni politiche frenano, ma la transizione energetica non può attendere. La soluzione? Cucire il modello project finance sulle taglie “piccole” del tessuto imprenditoriale del Belpaese. Ecco la mission di BIAE 

Nel dibattito riacceso sull’autonomia energetica europea, il Rapporto Draghi ha trasformato un’allerta in agenda operativa: la finanza e industria devono correre insieme. In questo solco si inserisce l’approccio data-driven e one-stop shop di BIAE, che ibrida ingegneria, project management e soluzioni di credito per accelerare una transizione che parte micro e punta a razionalizzarsi. Il nodo è smussare colli di bottiglia su autorizzazioni, accesso al credito e finanza agevolata, mentre i mercati privati spingono il green credit verso nuove forme di raccolta e possibili sbocchi “democratizzati”. Ne parla in dettaglio ai lettori di We Wealth Giulio Gallazzi, presidente di Banca Italiana per l’Ambiente e per l’Energia (BIAE), la prima Banca Italiana interamente dedicata alla sostenibilità ambientale e alla transizione energetica. 

Il rapporto Draghi ha messo in luce i costi elevati, infrastrutture frammentate, dipendenze tecnologiche del settore energetico europeo. Perché l’Europa resta fragile e quali leve servano per colmare il divario tra competitività e sostenibilità? 

Quello di Draghi è stato un lampo a ciel sereno solo per chi imprudentemente dormiva sonni tranquilli. L’UE è nata con una vocazione industriale, poi ha spostato il fuoco sulla sostenibilità finanziaria, dimenticando che la finanza è al tempo stesso effetto e sostegno di una base industriale sana. Non abbiamo mai ragionato veramente come sistema di impresa sull’energia: ciascuno ha seguito logiche e politiche nazionali creando premesse per un’energia che si è rivelata più pulita e meno costosa altrove. Oggi il punto è che la domanda esplode: transizione digitale, mega data center, AI, nuovi servizi. Quando la domanda supera l’offerta, la regola basilare è che il prezzo sale: l’energia diventa scarsa e costosa. Accelerare la transizione non è un’opzione ma un imperativo, e non si fa solo con i grandi impianti: va diffusa sul territorio, sostenendo anche chi resta fuori dai grandi schemi, come le PMI sul territorio. 

In un Paese dove l’economia è fatta in larga parte di PMI, dov’è il collo di bottiglia: credito, competenze o pianificazione energetica? 

È una somma di fattori, aggravata dal modello fortemente generalista degli istituti di credito. Le grandi aziende parlano con desk specialistici; le piccole si interfacciano con ‘centri imprese’ territoriali che restano generalisti — anche quando hanno brochure di soluzioni sul tavolo, le persone non sono specialiste. BIAE nasce proprio per colmare questo vuoto: è una banca specializzata sulla transizione energetica e ambientale. Mettiamo nello stesso team chi fa credito e chi fa ingegneria delle rinnovabili e project management. Il risultato per la PMI è un vero one-stop shop: si entra in un ambiente unico dove la stessa squadra parla linguaggio tecnico e finanziario, dall’idea al progetto realizzato, evitando il ping-pong tra consulenti e banca. 

Parlate spesso della vostra intenzione di passare dal modello di green marketing a quello di green lending. Che cosa significa in concreto? 

Sì. Non diciamo ‘attrezzati e poi torna’: diciamo ‘porta l’idea, la realizziamo insieme’. Nel gruppo Banca del Fucino abbiamo ingegneri, project manager, gestori e siamo tra i maggiori azionisti di una delle più grandi pipeline rinnovabili in Italia. Questa esperienza diretta ci consente di migliorare tempi e certezze autorizzative e di sposare subito competenza di progetto e soluzioni di credito. È la differenza tra dire ‘possiamo occuparcene’ e dire ‘lo realizziamo insieme’

Pensate che l’Italia resterà su taglie piccole/medie (200 kW–500 MW)? Conviene che la vostra offerta segua questa ‘size’ o arriverà consolidamento? 

Nel breve la geografia e gli allacci di rete impediranno una copertura omogenea: rischiamo una macchia di leopardo con tanta generazione al Sud (solare ed eolico trovano lì il terreno migliore) mentre molta domanda industriale è altrove. Questo impone trading e dispacciamento efficienti per chiamare l’energia dove serve, a prezzo competitivo. Serve anche una politica nazionale di distribuzione a favore delle PMI. Nel lungo periodo auspico razionalizzazione: reti/associazioni, sistemi di imprese e iniziative territoriali. Ma avverto: non possiamo aspettare il ‘grande disegno’. Nel breve va spinta la transizione micro e va aumentata subito la capacità produttiva rinnovabile.

Torniamo al modello BIAE. Quanto contano i dati nelle vostre decisioni? La relazione può farvi andare ‘contro il dato? 

Gli istituti di vigilanza spingono le banche a un de-risking fondato su indicatori oggettivi. La relazione qualifica, ma non sostituisce il dato. Il nostro vantaggio è la pratica quotidiana: nel gruppo sviluppiamo progetti in autorizzazione, abbiamo una pipeline da oltre 3 GW — abbiamo imparato facendo. Questo ci permette di interpretare i segnali dei dati, accorciare il lead time, ridurre gli insuccessi e portare il progetto a reddito, sia in autoconsumo sia cedendo i flussi. 

Il project finance è un service oneroso. Con ticket piccoli le PMI non hanno struttura: come colmate il gap? 

Il project finance è una logica: progetto self-paying che serve debito/equity. La tecnica classica funziona sulle grandi opere; sui piccoli progetti diventa elefantiaca (due diligence, documenti, costi). Noi salviamo il principio cambiando gli ingredienti: minibond, garanzie di istituzioni o consorzi, linee collegate ai flussi (rientro su cassa generata), e — sapendole cercare — misure di finanza agevolata. L’Italia è storicamente tra i maggiori contribuenti dei fondi UE ma tra i peggiori utilizzatori: alle PMI manca informazione, supporto nel fare la domanda e progettualità adeguata. BIAE accompagna end-to-end su tutte e tre. 

Quali vantaggi offre in concreto il vostro approccio? 

Siamo un one-stop-shop. Evitiamo il ping-pong: niente più corse tra professionisti esterni e banca con linguaggi che non si incontrano. Entrando da noi, l’impresa trova subito advisory industriale e soluzioni di credito nello stesso team. Non è solo teoria: nelle prime settimane abbiamo avuto molte richieste e riscontri dal territorio — segno che questo vuoto non era coperto

Quali sono oggi gli ostacoli regolatori principali? Che cosa chiede alle istituzioni per accelerare senza perdere rigore? 

Il quadro delle priorità è abbastanza chiaro, ma la partita diventa spesso politicizzata. Servono processi autorizzativi più certi, integrazione dei sistemi e una commercializzazione dell’energia più efficiente. Nel frattempo gli imprenditori devono assumersi responsabilità: non possiamo aspettare che tutto arrivi ‘dall’alto’. Bisogna far sentire la voce dei territori e delle associazioni, alimentando misure calate sulla domanda reale. In sintesi: far presto e bene — ambizioso, ma necessario

I private markets (in particolare il private debt) possono diventare un altro flusso per finanziare la transizione? L’interesse è già maturo? 

Sì, i tempi sono maturi. Vediamo una grande crescita di private lending/debt, da operatori regolati e non regolati. I club deal tra imprenditori sono in forte espansione. Nascono anche per le lentezze e le incertezze di parte del sistema bancario. Il pricing? Spesso è più alto, ma per un progetto valido la scelta è tra fare o non fare: 1-3 punti di spread in più pesano relativamente rispetto alla possibilità di partire. Le smart bank, nate come piattaforma di pagamenti, senza filiali, stanno vincendo su efficienza e velocità. La risposta non è ‘vietare’, ma rendere competitive le piattaforme bancarie e non addormentarsi sul vantaggio normativo. 

Esisterà un mercato accessibile al retail sul green credit? Con quali tempi e strumenti? 

Assolutamente sì, e non in 5-10 anni: parliamo di mesi. La finanza deve essere asservita al fabbisogno industriale, non il contrario. Stiamo lavorando su piattaforme di green funding e su green asset management per una raccolta democratica, capace di convogliare il risparmio verso le micro-transizioni sui territori. È lo stadio maturo dell’ESG: meno immagine, più sostenibilità economica nel tempo, con l’investitore-cittadino protagonista

Guardando ai prossimi mesi e ai 5 anni: meglio puntare sulla micro-dinamica o su grandi piattaforme nazionali? 

Non c’è tempo per aspettare solo i grandi progetti integrati: dobbiamo agire subito con una transizione micro, granulare, basata su responsabilità individuale e iniziative di territorio; poi si integra e si sistematizza. In parallelo serve un trading efficiente: l’energia prodotta qui deve essere utilizzabile lì, a prezzi competitivi, così riduciamo la dipendenza dall’energia acquistata fuori. L’Italia ha spesso il vizio di dirsi incapace, ma il made in Italy ha spesso dimostrato il contrario: abbiamo talenti e capacità per recuperare e giocarcela anche meglio di Francia e Germania se agiamo presto e bene.